La responsabilità del committente dell’opera in appalto per il danno cagionato a terzi

La responsabilità del committente dell’opera in appalto per il danno cagionato a terzi
21 Aprile 2021: La responsabilità del committente dell’opera in appalto per il danno cagionato a terzi 21 Aprile 2021

La Suprema Corte, con la sentenza n. 7553/2021, pubblicata il 17.3.2021, si è pronunciata in tema di responsabilità ex art. 2051 c.c. del committente per i danni causati a terzi dall’opera effettuata in esecuzione di un contratto d’appalto, e, in particolare, riguardo al fatto che tale responsabilità possa venir meno a seguito della consegna dell’immobile all’appaltatore per l’esecuzione dell’opera.

IL CASO. Tizio e Caia convenivano in giudizio la società Alfa e la società Beta, rispettivamente committente e appaltatrice, per ottenerne la condanna ex artt. 2051 e/o 2043 c.c. al risarcimento dei danni cagionati ad un immobile di loro proprietà, a causa dell’opera pubblica realizzata in forza del predetto contratto d’appalto. 

La società Alfa, committente dell’opera, si costituiva in giudizio, lamentando l’esclusiva responsabilità per i predetti danni della società appaltatrice.

All’esito del giudizio di primo grado, il Tribunale accoglieva la domanda attorea e condannava la società appaltatrice Beta al risarcimento dei danni arrecati all’immobile degli attori, ravvisandone l’esclusiva responsabilità. 

Avverso la sentenza di primo grado proponeva però appello la società appaltatrice Beta. 

La Corte d’appello accoglieva il gravame e dichiarava la responsabilità solidale della società Alfa, quale committente, e della società Beta, quale appaltatrice, per i danni cagionati all’immobile dall’esecuzione dei lavori d’appalto.

La committente società Alfa, proponeva, quindi, ricorso per cassazione articolato in due motivi. 

In particolare, con il primo motivo, lamentava che dagli artt. 2051 e 2043 c.c. “non discenderebbe responsabilità solidale e/o concorrente della committente qualora, come nel caso di specie, i danni non derivino da un modo di essere dell’opera pubblica, bensì da ‘mere modalità di esecuzione dei lavori'”. L’autonomia dell’appaltatore, che esegue l’opera, lo renderebbe di regola l’unico responsabile dei danni a terzi per l’esecuzione dei lavori, mentre sarebbe configurabile una concorrente e/o esclusiva responsabilità del committente solo “per culpa in eligendo o ingerenza nell’esecuzione dell’opera da parte del committente stesso”.

LA DECISIONE. La Suprema Corte ha affermato che “non è sostenibile che la consegna dell’immobile [dell’appaltatore] perché siano eseguiti i lavori equivalga alla ‘consegna’ del ruolo di custode verso i terzi, perché questo costituirebbe ..  un contrattuale esonero da responsabilità nei confronti, però, di chi nel negozio non è parte”.

Infatti, ha proseguito riconoscendo che “l’appalto non può vincolare il terzo, nel senso di deprivarlo del proprio diritto risarcitorio nei confronti del committente/custode”, anche perché nell’appalto di opere tanto pubbliche, quanto private il committente “non può non avere un rapporto con il bene sul quale o nel quale vengono eseguite le opere, perché disporre le opere è esercizio di un potere giuridico o di fatto su di esso. Se dunque rispetto all’appaltatore il soggetto è un committente, rispetto ai terzi è un custode”.

La Suprema Corte, quindi, ha affermato il principio di diritto secondo cui “nei confronti di terzi danneggiati dall’esecuzione di opere, effettuate in forza di contratto di appalto, il committente è sempre gravato dalla responsabilità oggettiva di cui all’articolo 2051 c.c., la quale non può venir meno per la consegna dell’immobile all’appaltatore ai fini dell’esecuzione delle opere stesse, bensì  trova il limite esclusivamente nel caso fortuito, il che naturalmente non esclude responsabilità ex articolo 2043 c.c. del committente e/o dell’appaltatore”. 

La Suprema Corte ha, quindi, rigettato il ricorso, e ha confermato la sentenza pronunciata dalla Corte d’appello.

Il pensiero così espresso dalla Suprema Corte presenta, tuttavia, un’evidente criticità, posto che il presupposto della responsabilità per i danni causati da cose in custodia è sempre stato ravvisato nel “potere di fatto” in concreto esercitato dal custode sulla cosa, e cioè da una relazione di fatto ai fini della quale risultano del tutto irrilevanti eventuali patti contrattuali che si pongano meramente sul piano dei rapporti giuridici.

Così stando le cose, nel caso dell’appalto si tratta di stabilire chi sia il soggetto che esercita il “potere di fatto” sulla cosa, e, a questo proposito, non può che convenirsi con la giurisprudenza dominante che tale soggetto (salvi casi eccezionali) è l’appaltatore.

Quindi, ciò che “sposta” la custodia della cosa (e cioè del cantiere in cui è in costruzione l’opera appaltata) non è tanto il contratto d’appalto, come erroneamente afferma la sentenza annotata, bensì la traditio, la materiale consegna del cantiere stesso, purché produca l’effetto pratico di trasferire il “potere di fatto” su di esso all’appaltatore, privandone il committente.

Altre notizie